Stefano Garzonio
La poesia russa nelle traduzioni italiane del 900 Alcune considerazioni
Recentemente, insieme al collega Guido Carpi, abbiamo dato alle stampe una vasta antologia della poesia russa dalle origini ai giorni nostri.[1] Fine dei curatori era quello, ovviamente, di rappresentare con il maggior numero possibile di autori e testi l'intero, ricchissimo, retaggio poetico russo. I tempi ristretti dell'operazione, che sconsigliava l'ardua impresa di presentare nuove traduzioni (l'edizione prevedeva il testo a fronte originale e la traduzione italiana), privilegiavano l'utilizzo delle traduzioni esistenti, ulteriormente complicato dall'impossibilità di impiegare determinate traduzioni per questioni legate ai problemi del diritto d'autore. Decidemmo comunque di necessità far virtù sforzandoci di offrire al lettore italiano la più ampia cernita di traduttori italiani possibile e di attribuire dunque all'antologia una duplice finalità, quella di presentare, da un lato, i testi più importanti della poesia lirica russa e, dall'altro, di far conoscere al lettore italiano, con esempi mirati, le tappe della storia della traduzione poetica dal russo in Italia.
Se gli esempi relativi al XVIII-XIX secolo si contano sulle dita di una mano e, per di più, si tratta nella grande maggioranza di traduzioni realizzate con l'ausilio di una lingua tramite, in concreto il francese, il grosso delle traduzioni poetiche si riferisce al XX secolo, quando la poesia russa conquista una posizione non irrilevante nella pratica traduttoria italiana.
Senza nulla togliere ai casi pionieristici delle traduzioni del Cetti[2] e dell'Orti[3], al celebre volume parigino di traduzioni kryloviane in francese e italiano[4], alle importanti prove di Miniato Ricci e degli altri primi traduttori coevi di Pukin, tenuto altresì conto del grande livello raggiunto da Ippolito Nievo nella sua traduzione dei Doni del Terek lermontoviani o, ancora, alle prove di altri traduttori-poeti della seconda metà del XIX secolo (tra i quali studiosi come Angelo De Gubernatis e Domenico Ciampoli), è proprio al principio del nuovo secolo che la prassi traduttoria acquista dimensioni sempre più ampie ed oggi possiamo considerare nel suo insieme tutta questa tradizione come un notevole contributo poetico alla cultura letteraria italiana del Novecento.
I nomi dei traduttori che hanno ampiamente arricchito le lettere italiane di traduzioni poetiche dal russo nel XX secolo sono, accanto alle ultime prove di Domenico Ciampoli, che con la sua opera aveva segnato anche l'ultimo quarto del secolo precedente, quelli di Federigo Verdinois, Raissa Olkienizkaia-Naldi, Clemente Rebora, Ettore Lo Gatto, Rinaldo Küfferle, Virgilio Narducci, Giovanni Gandolfi, Giuseppe Ungaretti, Leone Pacini Savoj, Tommaso Landolfi, Renato Poggioli, Wolf Giusti e, in tempi più recenti, Angelo Maria Ripellino, Eridano Bazzarelli, Pietro Zveteremich, Giovanni Buttafava, Bruno Carnevali, Giovanni Giudici, Serena Vitale, Michele Colucci, Carlo Riccio, Giuseppe P.Samonà, Remo Faccani, Cesare G. De Michelis e molti altri (già al XXI secolo si riferiscono le traduzioni pukiniane di Erri De Luca).
Non è mia intenzione in questa sede ricostruire in tutti i dettagli la storia di questa grande esperienza letteraria e culturale. Noterò, tuttavia, come accanto a traduttori che sono in primis studiosi di cose slave e filologi professionisti, si registri la presenza di scrittori di professione (Rebora, Ungaretti, Landolfi, più di recente Giudici) e di un certo numero di slavisti attivi anche come poeti (è questo, in primo luogo, il caso di A.M.Ripellino, ma anche Pacini Savoj e Colucci hanno pubblicati libri di versi originali). Nella diffusione della letteratura russa in Italia un notevole contributo è stato inoltre fornito da traduttori di origine russa. Il loro contributo concerne in primo luogo la prosa e tuttavia si registrano notevoli casi anche nella poesia, in primo luogo, senza considerare il caso specifico di Rinaldo Küfferle, con Eva Kühn-Amendola, traduttrice di Baltruajtis[5], Ol'ga Reznevič-Signorelli, traduttrice di Esenin[6], e, in particolare, Raissa Olkienizkaia-Naldi, la quale pubblicò nel 1924 la prima importante antologia della poesia russa contemporanea e poi fornì altre importanti prove traduttive come, ad esempio, le sue versioni da Anna Achmatova.[7]
E' naturale chiedersi, da un lato, quale sia il rapporto di questo retaggio traduttorio con la coeva poesia italiana e, dall'altro, se possegga esso una qualche sua specificità per effetto della lingua-cultura di partenza. Detto in parole povere, può rivelarsi un qualche influsso della poesia russa sulla poesia italiana del XX secolo?
Vediamo brevemente le tappe più significative di questo processo. In origine si registra la tendenza a tradurre con maggior attenzione al testo d'arrivo, piuttosto che a quello di partenza o, meglio, agli aspetti stilistici, piuttosto che a quelli semantici. Il "coefficiente semantico di precisione" viene sacrificato al "coefficiente stilistico di libertà" per riprendere, mutandola, un'espressione di Michail Gasparov.[8] Le traduzioni di Ciampoli, ma anche quelle di Verdinois e di Gandolfi sono testi poetici costruiti con evidente attenzione alla poesia italiana della tradizione carducciana e pascoliana. Se prendiamo, a mo' d'esempio, le traduzioni del Ciampoli da ukovskij, vedremo la tendenza ad arricchire verbosamente il testo di arrivo per rispettare misura e rima. Eguale discorso vale anche per il Gandolfi che quando possibile inserisce reminiscenze e stereotipi poetici come nel seguente esempio:
Rotta ormai la tempra forte,
Perfin l'occhio s'è offuscato;
Tutti i figli suoi la Morte
E i nipoti ha sotterrato.
[Все прошло; пропала сила, / Притупился взгляд; / Смерть и могилу уложила / Деток и внучат].
In questo brano, sia detto per inciso molto fedele nella resa, dalla lirica Deduka di Ivan Nikitin il Gandolfi riproduce la tetrapodia trocaica con l'ottonario (qui equivalente formale e funzionale) ed applica un incipit di evidente consonanza petrarchesca, per poi inserire la rima forte/morte di antica storia e tradizione.
Una buona parte dei traduttori sembra piuttosto attenta alla resa semantica degli originali russi, in traduzioni spesso distinte da un carattere scolastico-divulgativo: è, a mio parere, il caso delle traduzioni da Lermontov, Apuchtin, ukovskij e Tjutčev di Virgilio Narducci[9], ma anche delle prove di Wolf Giusti[10] e, in alcuni casi, come ad esempio nella sua Storia della letteratura russa edita negli anni venti, dello stesso Lo Gatto, il quale tuttavia fornì poi altissima prova del suo magistero nella riduzione in endecasillabi dell'Eugenio Onegin.
Una nuova fase nelle traduzioni dal russo è segnata dall'attività di un grande scrittore, quale fu Tommaso Landolfi, e di un grande critico letterario, quale fu Renato Poggioli[11]. Significativo il fatto che entrambi formarono le loro basi slavistiche a Firenze ed ebbero come insegnante di lingua russa quel Nicola Ottokar che si andava affermando tra i massimi specialisti di storia medievale in Italia.[12] Nel contempo, fortemente influenzati dall'atmosfera letteraria della città e dalla rilevante attività editoriale del tempo, i due giovani letterati pur con una leggera sfasatura temporale si dedicarono ad una ampia rilettura della tradizione poetica russa offrendo testimonianze letterarie che vanno ben al di là della semplice silloge di traduzioni, ma costituiscono veri e propri eventi culturali. E' il caso de La violetta notturna (Lanciano 1933) del Poggioli, primo nucleo del celebre Fiore del verso russo Torino 1949, è il caso delle poesie di Pukin, Lermontov e Tjutčev tradotte da Landolfi[13].
Per meglio intendere le peculiarità del tradurre d'entrambi può essere interessante analizzare le loro traduzioni di un unico testo. I testi tradotti da entrambi non sono molti. Per la sua specificità può essere di un qualche interesse comparare le loro traduzioni della lirica pukiniana Otcy pustynniki i eny neporočny (1836).
Отцы пустынники и жены непорочны,
Чтоб сердцем возлетать во области заочны,
Чтоб укреплять его средь дольних бурь и битв,
Сложили множество божественных молитв;
Но ни одна из них меня не умиляет,
Как та, которую священник повторяет
Во дни печальные Великого поста;
Всех чаще мне она приходит на уста
И падшего крепит неведомою силой:
Владыко дней моих! дух праздности унылой,
Любоначалия, змеи сокрытой сей,
И празднословия не дай душе моей.
Но дай мне зреть мои, о боже, прегрешенья,
Да брат мой от меня не примет осужденья,
И дух смирения, терпения, любви
И целомудрия мне в сердце оживи.
La traduzione di Poggioli con il titolo Preghiera:
I padri anacoreti e le vergini in velo,
per volare col cuore alle zone del cielo,
per temprarlo qui in terra a battaglie e bufere,
composero infinite e divine preghiere;
ma nessuna fra tutte così forte mi scuote
come quella che sempre ripete il sacerdote
per il grande digiuno, in ogni triste giorno;
essa sulle mie labbra sovente fa ritorno,
e l'esausto vigore rinfresca della vita:
Signore dei miei giorni! dall'anima smarrita
il serpe dell'orgoglio tieni sempre lontano,
e la fiera ambizione e ogni spirito vano
ma fammi contemplare, Signore, ogni mio vizio,
fa' che da me il fratello non patisca giudizio,
ed un genio discreto risvegliami nel cuore
d'umiltà e di purezza, di castità e d'amore.
Ed ora la traduzione di Landolfi:
Padri romiti e caste spose,
Per levarsi col cuore nelle regioni ascose,
Per temprarlo del mondo tra battaglie e bufere,
Composero gran copia di divine preghiere.
Pure, non una mi commuove
Quanto quella che il prete usa ripetere
Nei giorni mesti di Quaresima;
Di tutte piú sovente mi viene essa alle labbra
E, caduto, conforta di forza sconosciuta
Signore dei miei giorni! il triste ozioso spirito
E d'ambizione, la celata serpe,
Di vaniloquio, Tu non volermi nell'anima.
Ma dammi di vedere, Signore, i miei peccati,
E da me il mio fratello che non soffra condanna,
E d'umiltà lo spirito, di pazienza, d'amore,
Di castità, tienimi desto in cuore.
Senza entrare nel merito delle singole scelte traduttorie, ma solo volgendo l'attenzione all'intonazione generale dei testi, risulta evidente la tendenza del Poggioli a riprodurre il testo pukiniano in una forma e con un taglio stilistico che lo rimandano alla tradizione ottocentesca italiana. La resa dell'esapodia giambica russa con il martelliano (doppio settenario)[14] che ne rispetta la cesura fissa, vale a dire un alessandrino a rima baciata che è qui equivalente formale e funzionale dell'esapodia giambica pukiniana, testimonia di un attento approccio storico-letterario e di un gusto per il restauro testuale e per la piena riproduzione stilistica del medesimo. Da questo approccio discende una maggiore libertà nella resa semantica del testo. In generale il Poggioli tende a rileggere molta della poesia attraverso lo stile poetico del primo novecento italiano con evidenti echi ora dannunziani, ora crepuscolari.
Diverso l'atteggiamento del Landolfi, che conserva la rima solo nell'incipit, quasi a voler fornire gli estremi, per così dire bibliografici, del testo originale, e poi si affida al verso libero secondo la prassi traduttoria novecentesca più diffusa, trasferendo così il problema della resa poetica del testo esclusivamente agli altri livelli testuali: il ritmo sintattico, il lessico, i tropi, e riuscendo a conservare una maggiore fedeltà semantica al testo originale. In questo Landolfi riprende un atteggiamento che troviamo nelle traduzioni in versi di Clemente Rebora, anch'egli meno attento agli aspetti più formali del ritmo e della rima, e invece tutto volto alla ricerca lessicale e dell'intonazione sintattica, come nella traduzione di Italia di Gogol':
Italia magnificente!
Per te l'anima geme, e si stringe:
Tu sei paradiso, tu piena letizia,
E in te smagliante amor ha primavera…
[Италия - роскошная страна! / По ней душа и стонет и тоскует. / Она вся рай, вся радости полна, / И в ней любовь роскошная веснует...] [15]
Di entrambe le linee, quella qui manifestate rispettivamente da Poggioli e da Landolfi, si erano registrate testimonianze anche prima. Certo per quanto concerne la poesia russa nelle traduzioni italiane del XX secolo risulta centrale la questione delle traduzioni dell'Eugenio Onegin, che per ovvi motivi di spazio qui non affronterò, rimandando alla ricchissima bibliografia relativa, anche se qui terrei a sottolineare l'interessante passaggio-evoluzione da una traduzione interlineare del primo Lo Gatto (traduzione del tipo scolastico-divulgativo di cui parlavo sopra), alla splendida traduzione funzionale in endecasillabi del medesimo, fino alla traduzione formale e sperimentale del Giudici in ottonari, cui fa da controaltare il "passaggio alla prosa" proposto dalla scrittrice slavista Pia Pera.[16]
Se l'attività di Ettore Lo Gatto costituisce un continuum nella storia della ricezione della poesia russa nel XX secolo, gli anni dell'immediato dopoguerra sono segnati dall'affermarsi di un giovane slavista e traduttore, Angelo Maria Ripellino, che ha il merito di aver rivelato al lettore italiano e, in particolare, al mondo letterario italiano, l'opera dei poeti del secolo d'argento e delle avanguardie. Eugenio Montale ebbe a sottolineare come dalle traduzioni di Ripellino risultavano evidenti le "affinità coi nuovi decadenti o ermetici o puristi di altri paesi europei" con evidente riferimento alla realtà italiana[17].
Ovviamente è difficile definire in poche parole il contributo di Ripellino e descrivere il suo metodo. Dirò soltanto che con Ripellino si afferma pienamente un metodo che io definirei della traduzione come "interpretazione poetica". In questa prospettiva esiste un antecedente che in qualche modo, a me pare, può essere servito da modello. Mi riferisco alle traduzioni di Ungaretti da Esenin. Il poeta lavorò evidentemente su una traduzione interlineare, quella che in russo si chiama podstročnik, e giunse alla stesura di un testo poetico che pur rispettoso del senso dell'originale, vive di proprie linee intonative e di un fiorito intarsio lessicale e di corrispondenze.
E importante rilevare come ogni traduttore manifesti maggiore congenialità per questo o quel poeta. Questa circostanza è valida anche per Ripellino (in questa prospettiva, le sue traduzioni da Chlebnikov sono dei capolavori). Eppure il metodo è riconoscibile in tutte le prove. In questa prospettiva risulta di un qualche interesse confrontare tre diverse traduzioni di una celebre lirica di Anna Achmatova, realizzate appunto da Angelo Maria Ripellino, da Raissa Olkienizkaia-Naldi e da Michele Colucci.
Сжала руки под темной вуалью...
"Отчего ты сегодня бледна?"
- Оттого, что я терпкой печалью
Напоила его допьяна.
Как забуду? Он вышел, шатаясь,
Искривился мучительно рот...
Я сбежала, перил не касаясь,
Я бежала за ним до ворот.
Задыхаясь, я крикнула: "Шутка
Все, что было. Уйдешь, я умру".
Улыбнулся спокойно и жутко
И сказал мне: "Не стой на ветру".
1911
Ripellino:
Strinsi le mani sotto la scura veletta…
" Perché sei pallida quest'oggi? "
- Perché di acerba tristezza
l'ho ubriacato sino a stordirlo.
Come dimenticare? Eglì usci barcollando,
con le labbra contratte dalla pena.
Io corsi giù senza sfiorare la ringhiera,
corsi dietro a lui sino al portone.
Ansimando gridai : "Tutto è stato
uno scherzo. Se te ne andrai morirò."
Sorrise con aria tranquilla e sinistra
e mi disse : "Non stare nel vento."
Olkienizkaia-Naldi:
Strinsi le mani sotto il velo oscuro...
"Perché così pallida oggi? "
Perché di tristezza amara
l'avevo or ora ubriacato.
Come dimenticarlo? Uscì vacillando,
una smorfia dolorosa sulle labbra;
corsi giù per la scala, non toccai la ringhiera,
gli corsi dietro fino al portone.
Soffocando gridai: " Fu uno scherzo
quel ch'io dissi : muoio se te ne vai ".
Sorrise, tranquillo e duro
e mi disse : " Non restare al vento ".
Colucci:
Strinsi le mani sotto il velo oscuro...
"Perché oggi sei pallida? "
Perché d'agra tristezza
L'ho abbeverato fino ad ubriacarlo.
Come dimenticare? Uscì vacillando,
sulla bocca una smorfia di dolore...
Corsi senza sfiorare la ringhiera,
corsi dietro di lui fino al portone.
Soffocando, gridai: "è stato tutto
uno scherzo. Muoio se te ne vai".
Lui sorrise calmo, crudele
E mi disse: " Non startene al vento ".
Notato en passant che della traduzione della Olkienizkaia-Naldi esiste una esecuzione di Anna Proclemer edita su disco nel 1962, vediamo come tutte e tre le traduzioni evitano la resa equimetrica e rifuggano la rima che pure svolge un ruolo fondamentale nel testo originale. La traduzione di Ripellino tende ad essere lessicalmente più inusuale ("veletta", "acerba tristezza", "nel vento"), quella della Naldi accentua il carattere colloquiale, prosastico della breve lirica, quella di Colucci tende a collimare i due momenti, generalmente più vicina a quella della Naldi, ma con evidenti poetismi ("l'ho abbeverato", "agra tristezza").
In generale, le traduzioni di Colucci mostrano sempre misura e precisione nelle scelte lessicali e tendono ad una classica regolarità ritmica (è il caso delle sue traduzioni da Baratynskij). Particolare attenzione agli aspetti metrico-ritmici troviamo nelle traduzioni da Esenin di G.P.Samonà che negli anni ottanta sollevò un'interessante polemica sulla traduzione equimetrica dell'Onegin realizzata da Giudici.[18]
In conclusione, vorrei accennare ad un interessante tentativo di traduzione che va nell'indirizzo della prassi utilizzata per le traduzioni dei classici antichi. Il fatto è che la gran parte delle traduzioni poetiche italiane dal russo non è accompagnata da note o commentari. Certo Lo Gatto, Poggioli, Ripellino e molti degli altri traduttori hanno fornito ampie introduzioni agli autori e descrizioni critico-letterarie delle opere, ma non si sono registrati esempi di offerta editoriale dei testi poetici russi sul modello delle traduzioni commentate dei classici antichi.
In questa prospettiva si è invece mosso Remo Faccani, il quale, nelle sue traduzioni da Osip Mandel'tam, ha saputo combinare l'aspirazione alla traduzione metrico-funzionale con la prassi del testo commentato[19]. E' questo l'unico esempio a me noto, ma ritengo che proprio questa possa essere la strada per una resa appropriata della tradizione poetica più recente.
Penso in questa prospettiva al forte carattere intertestuale insito nella poesia contemporanea e all'esigenza di trasmetterlo al lettore straniero. Purtroppo non paiono muoversi in questa direzione le antologie più recenti di poesia russa contemporanea[20], ma qui siamo già nel nuovo secolo e dunque già aldilà dei confini tematici della mia relazione.
Notes:
© S.Garzonio
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