Eugenia Gresta
ROMA NELLA LIRICA DI EVGENIJ REJN
Se il genere della letteratura di viaggio sembra contrapporsi alla condizione forzatamente stanziale dell'homo sovieticus, cionondimeno (e probabilmente anche per questo), il viaggio ha esercitato grande fascino su poeti e scrittori russi del Novecento, fascino che ha trovato una sua realizzazione spesso e volentieri solo dopo il crollo dell'URSS.
Fra i poeti che hanno tratto profitto umano ed artistico dal viaggio c'è senz'altro Evgenij Rejn. Nato a Leningrado nel 1935 e da molti anni residente a Mosca, Rejn scrive versi dagli anni Cinquanta, ma la sua prima raccolta ha visto la luce solo nel 1984, quando l'autore era già pienamente maturo. Questo caso di "tempo ribaltato", non certo raro in epoca sovietica, unito al vissuto nelle due capitali, metaforizza in maniera efficace il continuo spostamento nel tempo e nello spazio che ha sempre caratterizzato la vita del nostro, dando contemporaneamente rilevanza al movimento come elemento essenziale delle sue liriche. L'attrazione per il nuovo, il potenziale contatto con l'estraneo, l'affezione - spesso aprioristica - verso luoghi e mondi diversi e lontani sono per Rejn un simbolo del proprio cammino esistenziale e si sostanziano, con precisione dettagliata e meticolosa, in immagini artistiche che bloccano la memoria delle sue escursioni in luoghi sconosciuti.
Cosi l'Italia, meta ambita e raggiunta nel 1993 per un mese intero, è il soggetto di una raccolta che si presenta come un vero e proprio diario di viaggio e che tocca le principali città: Venezia, Roma, Firenze e Milano. Il libro, dal titolo Sapook. Kniga ital'janskich stichov, è uscito a Mosca nel 1995. Colpisce, la raccolta, perché Rejn è probabilmente uno dei pochi poeti russi contemporanei per il quale l'Italia rappresenta quasi esclusivamente un momento di tensione emotiva, solo tangenzialmente arricchito dallo sguardo verso la portata storica e culturale del Belpaese. Nei versi non mancano i cenni storici, né l'omaggio culturale, scontati in chi sente fortemente la grandezza del passato italiano e quella del proprio retaggio. Essi sono però accessorii ad una rappresentazione sostanzialmente bytopisatel'naja dell'Italia, per usare un'espressione di Jurij Kublanovskij (1), nella quale brulica tutta l'eterogeneità del quotidiano contemporaneo. I titoli delle liriche bastano a persuadere il lettore di questo: Venecianskij kot, Produktovyj rynok vo Florencii, Magazin "Second hand" v Milane, solo per citarne alcuni. Non fanno eccezione i sei testi dedicati a Roma: Rynok poderannych veščej v Rime, Utrennie razmyšlenija v kafe "Greco", Bezumec u fontana "Triton" na piazza Barberini v Rime, U Termini, Uezaja iz Rima, Koški na razvalinach drevnego Rima. Le poesie sono piene di oggetti e di gente comune, avvolti dallo sguardo minuzioso e veridico del poeta:
Мадонны и божки, и будды без башки,
копмпартии былой линялые флажки.
Караты в чугуне, Веласкесы в говне
и в этой стороне, и в этой стороне.
Вот римский сапожок траяновых времен,
а вот и скарабей, а вот и фараон.
Тебя нельзя пройти, ты долог, что Китай,
Послушай, погоди, мне что-нибудь продай. (2)
Roma si presenta nella veste caotica e confusionaria di Portaportese, un mondo completo e compiuto in sé, in cui madonnine, piccoli dei e bandierine scolorite condividono la scena con oggetti che richiamano culture e tempi diversi e lontani: i faraoni, gli scarabei, i Velazquez in brutta copia e lo stivaletto romano di discendenza traianea. Ma è proprio questa promiscuità spaziale e temporale ad introdurci nel vivo della poetica rejniana. Per Rejn la vita quotidiana è energia lirica, la cui pienezza ossimorica si sintetizza nella realtà del verso fatta di polarità opposte che si stagliano a più livelli: sociale, culturale, storico, ma anche poetico e stilistico. Questa poliedricità del reale viene descritta oggettivamente con audacia e con zelo e, alla maniera dei pittori impressionisti, Rejn ricrea, a piccoli tocchi di pennello, un mosaico che si percepisce come un unicum, come una sola tela zeppa di minuzie, di ciarpame, spesso in odore di putrefazione, per usare un termine caro al poeta:
Я все с себя продам и все себе куплю,
поскольку ничего на свете не люблю,
а только этот хлам, позорище веков […]
О, тлен, сегодня ты - единственный кумир […]
Прощай, не поминай, я твой Великий Раб,
и это ничего, что я бываю слаб.
Я вечен словно ты, мы одного гнезда,
и надо мной всегда стоит твоя звезда (3).
Il mercato di Portaportese è il sacrario della putrefazione, il simbolo dell'indissolubilità del presente e del passato e della consapevolezza che ciò che è ora sarà ben presto finito. La putredine è la polvere del tempo e proprio per questo va nominata, ricordata, perfino amata: il passato non va consegnato all'oblio e se a questo scopo serve cantare il fetore putrido della mortalità, e sia. Di qui la dolcezza romantica e lo sguardo nostalgico e profondo verso la realtà che Rejn si sforza di descrivere esaltandone sempre e comunque la qualità vitale, fissandone la memoria emotiva. La gamma di emozioni che cose, luoghi, gente, eventi evocano sono per il poeta la cosa più cara ed è nello slancio affettivo che anche il passato storico e culturale (tanto russo quanto italiano) acquista un suo valore. Nel centralissimo Caffè Greco della Capitale, meta obbligata di tutti i personaggi russi in visita a Roma
[Сюда] входили люди лютые,
и нарастал здесь гомон русский,
пил граппу Иоанн с Малютою
"Курвуазье" Филипп и Курбский.
Кто объедался кремом приторным,
кто падал головой об столик,
пророки, каторгой обритые
лежали навзничь возле стоек. (4)
Rejn è poeta classico, di discendenza acmeista e come tale sente fortemente il peso della cultura europea e se ne sente parte; di conseguenza, l'accenno ad un momento importante della storia russa, quello del regno di Ivan il Terribile, cosi come quello a Nikolaj Gogol' in un altro punto della stessa lirica dedicata al Caffè Greco, è quasi un cliché. E infatti il senso di questi richiami sta nella speranza, nella tristezza, nell'entusiasmo che il pasato evoca e, allo stesso tempo, nel comune vissuto che esso rappresenta e che unisce chi vive nel presente. Il passato è imprescindibile come legame con chi ci ha preceduti e con i nostri contemporanei. Non a caso, la rappresentazione, idealistica, di sovrani, principi e metropoliti nel Caffè e quella veridica di Gogol' nel medesimo si spoglia dell'aurea maestà della storia e della cultura per diventare puro richiamo a persone che tutti i russi riconoscono come parte della propria tradizione e nei quali si riconoscono. Nella penna di Rejn l'opričnik Maljuta Skuratov perde la sua fama di sanguinario per vestirsi di quella di un tipo qualsiasi che si abbuffa di crema oppure, ebbro d'alcol, cade con la testa sul tavolo. Lo stesso Gogol', in chiusura di poesia, definito solo dal nome e dal patronimico quasi a sottolinearne l'anonimato, diventa l'interlocutore diretto dell'io lirico il quale, alla presentazione del salatissimo conto del Caffè, invita Nikolaj Vasil'evič a dividere la mancia da lasciare al cameriere.
In quest'ottica, priva di magnificenza, anche il passato romano viene reinterpetato alla luce dell'understatement: il Colosseo, gloria dell'impero, perde la sua simbolicità e diventa una delle rovine in cui vivono i gatti della Capitale, a cui Rejn dedica l'intera Koški na razvalinach drevnego Rima. I ricorrenti richiami alla Roma imperiale e all'antico Egitto - il cui animale più importante era proprio il gatto - sono funzionali, nella lirica, alla riflessione personale che Rejn costruisce attraverso la sua poesia, radicalmente urbana. Egli osserva e poeticizza ciò che il paesaggio gli offre e negli scorci cittadini riscontra tracce di epoche diverse e di diversi momenti emotivi che vanno a comporre quella tradizione che ha dato vita all'uomo-artista Rejn. In questo senso, Roma con il suo magma urbano eterogeneo, spesso indefinito, stuzzica particolarmente la musa del lenigradese, accentuandone la qualità narrativa. La grandezza, la caoticità, la disorganizzazione del tessuto cittadino, i molteplici strati storico-culturali incrostati negli oltre duemila anni di vissuto della città, l'umanità varia, tipica di una capitale europea, contribuiscono a generare quel senso di dispersività che un luogo vasto produce. Rejn si sente a proprio agio nella vastità, se non altro perché abituato ad un paese di proporzioni sterminate e perché ha sempre vissuto in due grandi città. Ma la vastità urbana gli permette di osservare la gente dal suo punto di vista preferito, quello dell'uomo comune: in una grande città un uomo è semplicemente un uomo, il cui volto si confonde con quello degli altri. Elementi di definizione e caratteristiche particolari sono lasciati a margine e questa indefinitezza ha anche una sua controparte stilistica.
La vaghezza si traduce in un'estrema duttilità del verso, nella mancanza di elitarietà, nel tentativo di perenne prosacizzazione del verso stesso che presenta quindi un'infinta gamma emotiva e di senso.(5) A questo si deve aggiungere, per contro, quella percezione poetica della realtà cui si faceva cenno sopra: le spinte contrastanti verso la prosa da un lato e la poesia dall'altro generano tensione lirica:
Ну, конечно, она проститутка,
ну, конечно, вокзал и. т. д.
Но молчание было преступно,
Что молчать по такой ерунде?
Почему, почему, почему же
был в словах ее явный укор,
и она, меня локтем толкнувши,
повторила: "Решаете, сеньор!" (6)
Rejn aspira ad unire la semplicità del racconto narrativo con la metaforicità dello slancio poetico (e, nel suo caso, romantico), non cedendo mai completamente alle regole del discorso in prosa. Il linguaggio poetico si corrobora di strutture metriche che, ancorché elastiche, sono però sempre presenti; la rima, anche se approssimativa o imperfetta, scandisce comunque i ritmi lirici. Rejn si avvale di scelte metriche diversificate, manifestando, però, una predilezione per il giambo. Il blank verse marlowiano (pentamentro giambico non rimato) è per lui un punto di riferimento ideale da cui partire per poter esplorare tutte le possibilità offerte dal metro binario, adattandolo anche a versi più lunghi o più corti del pentametro. Sebbene flessibili, queste impalcature, fungono da solido contenitore del flusso narrativo che altrimenti impoverirebbe lo slancio lirico. Il processo di sintesi a cui aspira Rejn è utopistico: all'afflato poetico è comunque subordinato il desiderio narrativo, ma la presenza massiccia della prosa gli concede di costruire dei testi poetici che sono quasi dei miniromanzi, delle storie con una trama chiara e compiuta che vanno a comporre nella loro totalità un discorso interiore continuo che è la testimonianza del percorso umano e poetico di un artista contemporaneo.
Le varie immagini di Roma che Rejn ci regala nella sua raccolta sono dunque piccoli camei nei quali il poeta interloquisce indifferentemente con illustri personaggi della tradizione europea e con gente comune, come la prostituta di cui poco sopra. La scossa provocata dagli uni e dagli altri è ugualmente intensa, perché è pura emozione. Rejn schiva il semplice beau geste nell'omaggio all'Italia, adattando la retorica storico-culturale al vissuto quotidiano, spogliandola della sontuosità che l'accompagna e restituendo al lettore una rappresentazione della Capitale che coglie appieno tutta l'effervescenza della vita di oggi in una metropoli.
Примечания:
© E. Gresta
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