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University of Toronto · Academic Electronic Journal in Slavic Studies

Toronto Slavic Quarterly

Daniela Rizzi

OLGA RESNEVIC SIGNORELLI E LA CULTURA ARTISTICA A ROMA TRA IL 1910 E IL 1925


1. Il nome di Olga Resnevic Signorelli (1883-1973), lettone di nascita, russa di lingua e cultura, italiana d'adozione, vissuta a Roma per più di sessant'anni della sua lunga vita, è un nome che si ha ragione di pronunciare in ambiti svariati.

La Signorelli è nota tra gli storici del teatro per la sua pionieristica e appassionata biografia di Eleonora Duse, sua intima amica per quindici anni: libro, questo, che ha avuto una vasta fortuna editoriale in Italia e nei paesi nelle cui lingue fu tradotto; (1) e tra gli storici della danza, per il ruolo avuto nella vita e nel successo italiano di Aurel Milloss, uno dei maestri della coreografia europea della seconda metà del Novecento. Ai russisti, il suo nome è noto per due motivi: a quelli italiani in particolare, per l'intensa attività di traduzione e divulgazione di cose russe, letterarie e teatrali in primo luogo, che ne fa una delle figure di spicco nella storia della ricezione della cultura russa nel nostro paese nel secondo e terzo decennio del Novecento; ma anche alla comunità internazionale degli studiosi di Novecento russo per aver lasciato un archivio, oggi conservato alla Fondazione Cini di Venezia, che comprende più di 500 carteggi in gran parte di corrispondenti russi, i cui nomi messi in sequenza costituirebbero quasi un indice ideale di un volume di storia della cultura letteraria e artistica russa della prima metà del Novecento.

Alla parte russa di questo archivio ha molto lavorato Elda Garetto, autrice di varie pubblicazioni sull'argomento.(2) Da poco più di un anno è in corso un progetto di ricerca, finanziato dal Ministero italiano dell'Università e della Ricerca e dedicato al lascito archivistico dell'emigrazione russa in Italia dal 1900 al 1940, nell'ambito del quale verranno realizzate una descrizione scientifica di questo archivio e una pubblicazione (in uscita tra circa un anno, a cura di Elda Garetto e mia) che conterrà alcune sue parti consistenti ancora inedite.

C'è un altro contesto in cui il nome di Olga Resnevic Signorelli suona familiare: ed è quello dei conoscitori della cultura artistica romana del primo Novecento, in virtù dei suoi contatti intensissimi, prolungati e fecondi con numerosi suoi esponenti di spicco, a partire già dalla fine del primo decennio del secolo. Nel presente contributo (che è un primo abbozzo di un più vasto studio sul ruolo avuto da Olga Resnevic nella vita culturale italiana del Novecento) l'attenzione verrà appunto concentrata solo su questo aspetto della personalità e dell'attività della Signorelli, vale a dire sulla sua partecipazione alla vita artistica della capitale nel periodo compreso tra il 1910 e il 1925. Le date, come vedremo, hanno una giustificazione duplice: sono legate alla cronologia esistenziale della Signorelli per un verso, e per un altro racchiudono un periodo preciso della storia della pittura moderna a Roma.

2. Il periodo 1910-1925 è quello in cui il sodalizio umano e intellettuale di Angelo e Olga Signorelli è più intenso: uniti da un comune sentire ideale (erano stati entrambi militanti socialisti), accomunati dall'esercizio della professione medica a sfondo filantropico, amanti delle lettere e delle arti, diedero vita ad un salotto dal quale per un paio di decenni sarebbero passate schiere di intellettuali italiani e stranieri, tra cui molti russi emigrati. Per una rassegna dei loro nomi rimando alle già citate pubblicazioni di Elda Garetto. Qui basterà dire che Olga Resnevic risulta al centro di una trama di conoscenze, relazioni e scambi intellettuali tanto vasta da far dire che attorno alla sua forte personalità, dalle doti umane e spirituali spiccatissime (come rilevano tutte le testimonianze), si raccolse per anni il fior fiore dell'intellettualità di stanza o in transito nel nostro paese. Ma, soprattutto, in quegli anni Angelo e Olga Signorelli furono tra i pochi acquirenti di opere d'arte della capitale e furono amici, sostenitori e mecenati di pittori allora quasi sconosciuti ma destinati ad essere annoverati tra i protagonisti dell'arte figurativa italiana del Novecento. Mi limiterò a nominarne quattro, che ebbero con i Signorelli rapporti particolarmente stretti e le cui tele andarono a ricoprire le pareti delle quaranta stanze del Palazzetto Buonaparte di via XX Settembre, accanto a Porta Pia, dove i Signorelli si erano installati a partire dal 1910: parlo di Felice Carena (1879-1966), Armando Spadini (1883-1925), Ferruccio Ferrazzi (1891-1978) e Filippo De Pisis (1896-1956), non gli unici, ma di certo i più amati tra i pittori della loro collezione.

Olga Signorelli aveva avuto una scuola d'eccellenza come animatrice di colti cenacoli cosmopoliti nella capitale di un'Italia ancora sprofondata in quello che inizialmente le era parso un sonno provinciale, che nelle memorie inedite (conservate a Roma presso gli eredi) chiama "lo stato opaco della cultura italiana di allora": poco dopo il suo arrivo a Roma conosce infatti Nadine Helbig, vale a dire la principessa Nadezhda Shakhovskaja (1847-1922), moglie dell'archeologo tedesco Wolfgang Helbig, che negli ultimi decenni dell'Ottocento aveva tenuto un importantissimo salotto letterario, scientifico e musicale nella sua residenza di palazzo Caffarelli sul Campidoglio. Liszt e Wagner vi erano stati di casa. E anche della più recente residenza di Villa Lante al Gianicolo (dove per qualche tempo risiede anche Olga) la non più giovane principessa aveva fatto un vero carrefour de l'Europe.(3)

Olga era arrivata a Roma nello stesso 1906 in cui ci era arrivato il pittore torinese Felice Carena come vincitore del Pensionato Artistico Nazionale. Carena si era inserito subito nell'ambiente intellettuale romano più vivace e all'avanguardia, grazie soprattutto alla sua amicizia col poeta e scrittore Giovanni Cena (1870-1917), pure torinese, che era a Roma da alcuni anni come redattore capo della rivista "Nuova antologia". Cena, socialista, aveva organizzato un Comitato delle Scuole per i contadini dell'Agro romano, insieme a Sibilla Aleramo, allora sua compagna di vita, e a un gruppo formato da intellettuali e medici: iniziativa, questa, assai indicativa di un certo spirito dell'Italia unita, manifestazione di un socialismo progressista e positivista che tentava di dare il proprio contributo all'ammodernamento di quel tessuto sociale arretrato sopravvissuto all'unità politica del Paese. Quest'iniziativa umanitaria entusiasmò Olga Resnevic, studentessa in medicina all'Università di Roma. Era stata presentata a Giovanni Cena e alla Aleramo (di cui rimase poi amica per cinquant'anni) da Ekaterina Botkina, vedova del celebre medico russo Sergej Botkin, trasferitasi a Roma nel 1907. "Anche Carena partecipò attivamente a questa utopia e il riflesso è evidente anche nei soggetti di molte sue opere del periodo (La rivolta, I viandanti etc.) nelle quali sono protagonisti i ceti più poveri e diseredati".(4) Opere che piacquero a Gor'kij, che visitò lo studio di Carena accompagnato proprio da Giovanni Cena e probabilmente da Olga Resnevic (è forse lei "l'amica russa" che fece da interprete tra i due). "Io tremavo - ricordò in seguito Carena - perché allora ero intriso di letteratura russa, Tolstoi, Dostoievski, Turgenev, e Gorki era l'ultimo di questi grandi".(5)

Su questa base nacque dunque un'intensa amicizia, presto estesa anche al marito di Olga, il quale - come testimonia una quarantina di lettere di Carena a entrambi i coniugi che fa parte del lascito conservato alla Cini - divenne medico, confidente e mecenate di quel giovane tormentato e sofferente. Un bellissimo paesaggio romano, che i Signorelli acquistarono nel 1907, fu il primo di una serie di acquisizioni che ne fece i maggiori collezionisti di Carena in quegli anni. Anni, è il caso di sottolinearlo, che precedono la Biennale di Venezia del 1912, che consacrò Carena almeno per qualche tempo come uno dei nomi più alla moda della pittura italiana.

Nell'estate del 1911 è Carena a presentare ai Signorelli il pittore fiorentino Armando Spadini, anche lui arrivato nella capitale per aver vinto il Pensionato Artistico Nazionale. Ma non è improbabile che di Spadini Olga Signorelli avesse sentito già parlare da Andrea Caffi (1887-1955), che nell'autunno del 1909 aveva conosciuto a Roma. Caffi, italiano di sangue, nato e cresciuto in Russia dove era stato imprigionato per due anni a causa della partecipazione ai moti del 1905, era un intellettuale finissimo, a suo agio sia nella cultura russa sia in quella europea.(6) Era arrivato da poco in Italia e - come scrive Olga Signorelli nelle memorie inedite - le parlò diffusamente delle novità culturali del paese che lei aveva lasciato alcuni anni prima. Spadini era noto all'élite culturale russa di orientamento modernista perché alcune sue illustrazioni erano state pubblicate all'inizio del 1909 sulle pagine di Vesy, rivista che certamente rientrava in quel "quadro indimenticabile della vita culturale nelle due capitali russe" che Caffi fece alla Signorelli.

Fatto sta che Olga Resnevic diventa "la musa russa del Renoir dell'Italia", per usare una definizione sincretica che mescola un appellativo dato a lei in quegli anni con la celebre definizione che De Chirico diede di Spadini.

Quella di Olga e Angelo per Spadini fu un'autentica passione che, cominciata con l'acquisto di Ponte sul Tevere del 1910,(7) negli anni precedenti il conflitto mondiale salvò letteralmente il giovane pittore dall'indigenza: prima dello scoppio della guerra i Signorelli gli avevano già acquistato circa una quarantina di quadri e commissionato tre ritratti di Olga.(8)

Passione forse la più forte, quella per Spadini, ma non esclusiva.

3. All'inizio di dicembre del 1916 si apre la Quarta (e ultima) Secessione romana, una manifestazione espositiva (nella cui organizzazione ha un ruolo di primo piano Carena) di cui sinteticamente si può dire che vi si concentrano le esperienze di una "scapigliatura pittorica modernista" (Benzi) che si vuole distanziare sia dal conformismo accademico che dagli eccessi del futurismo, e guarda piuttosto alle secessioni mitteleuropee e al post-impressionismo francese.

Alla Quarta Secessione espongono molti degli amici e dei protetti della nostra coppia di mecenati. Angelo Signorelli è a Udine, impegnato come ufficiale medico nella zona di guerra, ma segue come può le vicende artistiche romane e scrive a Olga: "Ho letto dell'inaugurazione della Secessione. E Spadini? E Carena? E tutti gli altri conoscenti e amici?" (9 dicembre 1916, Archivio privato eredi Signorelli). La preoccupazione va, quasi paternamente, alle possibili ripercussioni di quella mostra discussa sull'equilibrio di quei giovani artisti talentosi e battaglieri ma di cui lui, loro medico e confidente, conosce bene la fragilità. Il 10 dicembre scrive ancora a Olga: "Ho letto le scialbe critiche della Secessione. Più che critiche sono delle invocazioni bottegaie a comprare: nessuna parola e nessuna voce di quelle sane e incitatrici, di quelle che fanno bene all'anima. Poveri, cari, tormentati artisti, loro che hanno bisogno sì di pane ma hanno soprattutto bisogno di essere valutati ed esaltati" (Archivio privato eredi Signorelli). E sollecita Olga ad acquistare ancora qualche opera in segno di concreta solidarietà, cosa che lei puntualmente fa. Il celebre Pincio di Spadini è tra le opere acquistate in questa occasione.

Poi nel marzo dello stesso anno, sempre a Roma, si apre al Palazzo delle Esposizioni la LXXXV Esposizione della Società Amatori e Cultori di Belle Arti. La Società Amatori e Cultori è una culla del tradizionalismo pittorico. Ma quell'anno vi si inserisce un elemento di forte anticonformismo. Un altro giovane pittore, Ferruccio Ferrazzi, espone una serie di studi (tra cui il Ritratto di Matilde Festa e il Carrettiere che dorme, che fecero a lungo parte della collezione Signorelli) giudicati "opere di pittura scandalose e pazzesche" per i tagli sghembi, le visioni scomposte e le sagome prospettiche. A distanza di quasi sessant'anni da quella mostra (che costò a Ferrazzi la perdita del Pensionato Artistico Nazionale) il pittore scriveva allo storico dell'arte Carlo Ludovico Ragghianti in una lettera del 1973: "L'ambiente romano scrisse tutti i vituperi possibili e voleva farmi riportare indietro le opere ritenute di un pazzo [...] lo stesso Spadini [divenne] furente che alcune opere mi fossero acquistate dai Signorelli, nella cui collezione egli era il Maestro [...]".(9) Ferrazzi si allontanò quindi da Roma per qualche anno, ma i suoi legami con i Signorelli non vennero meno, come si evince dal carteggio conservato alla Fondazione Cini, che è un vero e proprio diario spirituale, denso di riflessioni artistiche e di esperienze umane e intellettuali.(10) E infatti, come i diari inediti 1913-1918, "concitati, lirici, crudi persino", queste lettere "ci conducono in un mondo arrovellato, fatto di luci e di buio, [in cui] grafia e sintassi recano evidenti tracce della fatica di penetrare se stesso e di capire":(11) testimonianza di una passione per la ricerca spirituale sul cui itinerario, anche a distanza di molti anni da quella fervida stagione iniziale e fino a poco prima della morte, Ferrazzi continuò a tenere al corrente l'amica Olga Resnevic.

4. Nell'immediato dopoguerra il panorama artistico romano si fa ancora più vivace: "Non c'è dubbio che Roma tra le due guerre sia stato il maggiore crocevia dell'arte italiana, senza altri possibili paragoni con la pur vivace situazione di altri centri culturali (Firenze, Milano, Torino). La situazione romana fu capace di proporre una tale varietà di istanze estetiche, nell'arco di oltre vent'anni, che il suo ricchissimo contesto può senza alcun compromesso porsi accanto alle grandi elaborazioni artistiche delle altre capitali europee".(12) In particolare Roma diventa una delle capitali europee del serrato dibattito tra avanguardia e "ritorno all'ordine". Ne sono il segno due mostre allestite quasi contemporaneamente nella prima metà del 1918, quella intitolata "Futuristi e metafisici" (in cui espongono, tra gli altri, De Chirico, Carrà, Prampolini, Soffici) e quella nel Casino Spillmann al Pincio, organizzata da Marcello Piacentini. In quest'ultima Spadini ha un posto d'onore, accanto a lui espongono Ferrazzi, Selva, Socrate, Cambellotti, Matilde Festa (moglie di Marcello Piacentini) e Leonetta Pieraccini (moglie di Emilio Cecchi), tutte personalità legate al cenacolo Signorelli. La tensione tra i gruppi di cui le mostre sono espressione è forte. Il 22 giugno Olga, che segue da vicino le polemiche e le vive con la partecipazione propria della sua natura appassionata, scrive a Papini: "Non vedo l'ora che si chiuda questa esposizione [quella al Pincio]. Se dura ancora molto temo davvero che quel ragazzo [Spadini, bersaglio principale del gruppo avverso] ci rimetta la pelle".(13)

Spadini, in effetti, ci rimetterà la pelle prematuramente, ma qualche anno dopo e per altri motivi. Intanto lo scontro tra i metafisici (De Chirico, essenzialmente) e Spadini è destinato a sopirsi. Tra il novembre del '18 e l'aprile del '19 appaiono infatti le due riviste dell'Italia moderna, postbellica: Valori plastici e La ronda. Non da subito, ma entro la fine del '19 si ritrovano a combattere una battaglia comune: quella per il "ritorno all'ordine", al mestiere, a riferimenti artistici (pittorici e letterari) tratti da vari momenti dell'arte e della letteratura italiana del passato. La pittura di Spadini appassiona i rondisti (Cardarelli, Ungaretti, Cecchi). De Chirico, Mario Broglio (fondatore di Valori plastici), la moglie Edita e altri artisti del loro gruppo riconoscono in quello che è ormai considerato il maggior pittore italiano un compagno di strada nel cammino verso un recupero di modelli artistici classici. Anche Ferrazzi e Carena contemporaneamente seguono in forme autonome e originali un percorso analogo. Ed è interessante notare - magari immaginando le conversazioni che possono avere avuto luogo proprio in casa Signorelli - che tutti i nomi fatti in questa breve excursus ricorrono nella lista dei corrispondenti di Olga Signorelli e furono ospiti nel salotto di via XX settembre, insieme a Papini, Savinio, Borgese, Casella, e altri artefici di quell'ondata di restaurazione che percorre in quegli anni la cultura italiana.

5. Nel '20 arriva a Roma dalla provincia anche il ventiquattrenne De Pisis. Tutti i suoi agganci con l'ambiente romano sono una conoscenza ancora superficiale con Cardarelli e Comisso, e una di più lunga data con De Chirico e Savinio, conosciuti a Ferrara. A De Pisis aveva parlato di Olga Resnevic proprio Alberto Savinio. E con accenti tali, evidentemente, per cui il giovane e inquieto artista, insofferente della vita di provincia, comincia a scriverle senza conoscerla, ma certo di trovare in lei un'interlocutrice spirituale. Così è, soprattutto dopo che, nell'autunno 1919, va a Roma e la incontra. Nel marzo del '20 la sua prima mostra di disegni e acquerelli nei locali della Casa d'Arte Bragaglia (con cui i Signorelli l'hanno messo in contatto) non ha successo: del resto De Pisis in quel periodo considera ancora la pittura un impegno marginale rispetto all'attività letteraria. Ma si incomincia a vederlo spesso dipingere a Villa Borghese insieme a Spadini, ormai ritenuto il maggior pittore italiano, o in compagnia di Ferrazzi e di Virgilio Guidi, ai quali tutti Olga l'ha presentato, e in breve la sua diventa una vocazione piena. Quelli romani sono anni molto ricchi di frequentazioni ed esperienze, in parte propiziate da Olga stessa, con la quale si sviluppa un'amicizia riflessa in un carteggio editato dalla Signorelli nel 1967.(14) Il soggiorno di De Pisis nella capitale culmina in un episodio rimasto celebre: il 1° novembre del 1924 si apre una sua mostra, presentata da Spadini, al ridotto del Teatro Nazionale, ventiquattro opere tra paesaggi e nature morte. I pareri sono contrastanti, c'è qualche recensione positiva, ma il successo di pubblico è nullo. Olga allora compie con il marito quello che resta l'atto più vistoso (e anche l'ultimo) del loro mecenatismo, e acquista la mostra in blocco. "Ci voleva un pazzo per comprare la mostra di un altro pazzo" commenta un giornale il giorno dopo.(15)

Tra il '24 e il '26 da Roma partono De Pisis e De Chirico per Parigi, Carena per Firenze, Guidi per Bologna. Spadini muore nel 1925. La scuola di via Cavour prima, e più tardi la Scuola romana mutano sostanzialmente il panorama delle arti figurative nella capitale. Da questo momento il collezionismo dei Signorelli si attenua e poi si spegne sotto l'influsso di questi e altri cambiamenti: nella vita, i due cominciano a condurre esistenze sostanzialmente separate, Olga cerca altrove alimento al suo bisogno di una temperatura spirituale sempre elevata, e Angelo è deluso dal mutare del rapporto tra collezionisti e artisti che deve sottostare a un mercato governato da meccanismi sempre più commerciali. Di li a poco, tra l'altro, la collezione Signorelli comincerà a venìre dispersa.

Ma forse, soprattutto, si era esaurita quella stagione artistica che, evitando ogni contaminazione con l'arte d'avanguardia, aveva portato dal post-simbolismo del primo Carena attraverso l'impressionismo attardato di Spadini verso il recupero delle forme della tradizione pittorica italiana (incarnato dalla rivista Valori plastici, ma autonomamente anche da Ferrazzi e Carena alla fine degli anni '10); tutto questo prima che il recupero del glorioso passato artistico italiano divenisse un argomento di propaganda di regime. Non è un caso, al di là delle motivazioni amicali, che l'ultima scelta coraggiosa di Olga e Angelo Signorelli sia legata al nome di De Pisis poco prima che questi lasciasse l'Italia fascista per la Francia: a Roma, De Pisis aveva abbandonato le tentazioni metafisiche e dadaiste iniziali "per risolversi in uno scavo della realtà impressionistico, bonnardiano: l'ammirazione per la leggerezza pittorica di Spadini costìtuì certo uno stimolo per raggiungere quella maturità realizzata nel primo lustro degli anni Venti [...], che lo caratterizzerà nella scioltezza del segno per tutta la vita".(16) De Pisis dunque interpretava un'evoluzione che era esattamente quella del pezzo di pittura romana che Olga Resnevic aveva amato e seguito più da vicino: una stagione nella quale, certo per avventura, ma soprattutto in virtù di un gusto, un intuito, una generosità e una lungimiranza fuori dal comune, Olga Resnevic Signorelli, la "russa a Roma" del Novecento italiano per antonomasia, era destinata a rimanere inscritta come partecipe spettatrice d'eccezione e a lasciare duratura memoria di sé.


    Notes:

  1. O. Resnevic Signorelli, La Duse, Roma, A. Signorelli, 1938; Id., Eleonora Duse, Roma, G. Casini, 1955; Id., Eleonora Duse, Milano, Silvana Editoriale d'Arte, 1959; Id., Eleonora Duse, Bologna, L. Cappelli, 1962. Il libro fu pubblicato anche in Germania (Berlino 1939), in Svizzera (Zurigo 1947), in Polonia (Varsavia 1972), in Russia (Mosca 1975) e in Lettonia (Riga 1987). Oltre a queste edizioni, occorre ricordare che Olga Resnevic pubblicò Lettere di Eleonora Duse ("Nuova Antologia" 16 ottobre 1939 , pp. 356-372) e numerosi articoli sulla grande attrice drammatica italiana.
  2. E. Garetto, Pis'ma N. S. Goncharovoj i M. F. Larionova k Ol'ge Resnevich Signorelli, in "Minuvshee" (5) 1988, pp. 165-182; Una russa a Roma. Dall'Archivio di Olga Resnevic Signorelli, a cura di E. Garetto, Milano, Cooperativa Libraria I.U.L.M., 1990; Id., Materiali sull'emigrazione russa dall'archivio di Olga Resnevic Signorelli, in "Europa Orientalis" (10) 1991, pp. 383-428; Id., Olga Resnevic Signorelli, in AA.VV., I Russi e l'Italia, a cura di V. Strada, Milano, Scheiwiller, 1995, pp. 203-210; Id., Pis'ma V. Khodasevicha i N. Berberovoj iz arkhiva Ol'gi Resnevich-Signorelli, in AA.VV., In Memoriam, istoricheskij sbornik pamiati A. I. Dobkina, Spb. 2000, pp. 277-300; Id., Perepiska V. I. Ivanova i O. I. Signorelli, in Archivio Italo-russo III. Vjacheslav Ivanov-Testi inediti, a cura di D. Rizzi e A. Shishkin, Collana di Europa Orientalis, Salerno 2001, pp. 457-495.
  3. Villa Lante al Gianicolo. Storia della Fabbrica e cronaca degli abitatori, a cura di T. Carunchio e S. ÒrmÒ, Roma, Palombi Editore / Institutum Romanum Finlandiae, 2005, pp. 161-168.
  4. F. Benzi, Carena a Roma: i fondamenti dello stile e i temi della pittura, in Felice Carena. Maestri del Novecento, a cura di F. Benzi, Milano, Fabbri Editori, 1996, p. 24.
  5. Ivi.
  6. Su Caffi si veda: G. Bianco, Socialismo e libertà: l'avventura umana di Andrea Caffi, con un'introduzione di A, Moravia, Roma, Jouvence, 2006.
  7. Cfr. Armando Spadini 1883-1925. Tra Ottocento e avanguardia, a cura di M. Fagiolo dell'Arco, Milano, Electa, 1995 (scheda relativa al dipinto).
  8. Armando Spadini. Duecentocinquantasei tavole con uno studio di Adolfo Venturi e il catalogo dell'opera a cura di Emilio Cecchi, Milano, Mondadori, 1928.
  9. Ferruccio Ferrazzi dal 1916 al 1946. Catalogo, a cura di B. Mantura e M. Quesada, Roma, De Luca Edizioni d'Arte, 1989, p. 100.
  10. Il carteggio è in parte citato in: M. Signorelli, Alla luce dell'amicizia: Ferruccio Ferrazzi e la famiglia Signorelli, in "Terzo occhio" n. 52, settembre 1989, pp. 18-21.
  11. M. Quesada, Storia di un artista moderno, in Ferruccio Ferrazzi dal 1916 al 1946. Catalogo, cit., p. 14.
  12. F. Benzi, Breve storia dell'arte a Roma tra le due guerre, in Roma 1918-1943, a cura di F. Benzi, G. Mercurio e L. Prisco, Roma ,Viviani Editore, 1998, p. 17.
  13. Carteggio Papini-Signorelli, a cura di M. Signorelli, Milano, "Quaderni dell'Osservatore", 1979, p. 111.
  14. F. De Pisis, Lettere a un'amica. 50 lettere a Olga Signorelli (1919-1952), Milano, "All'insegna del pesce d'oro", 1967 (con introduzione di O. Signorelli).
  15. Citato nell'Introduzione di O. Signorelli a F. De Pisis, Lettere a un'amica, cit., p. 22.
  16. F. Benzi, Breve storia dell'arte a Roma tra le due guerre, cit., p. 28.
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